Buonasera, benvenute/i al quinto appuntamento di “Dante nostro contemporaneo”. Siamo nel salone delle feste di Palazzo Nicolaci: nostro set del purgatorio dantesco.
Eccoci arrivati al tredicesimo canto del Purgatorio, dove sono punite le anime degli invidiosi. Sono ombre che recitano le litanie dei santi, si sorreggono a vicenda e hanno le palpebre cucite con il filo di ferro: non possono vedere. Dante rivolge a loro l’augurio di lavare presto ogni macchia dalla propria anima.
Alla sua domanda se vi siano anime italiane, alza il mento Sapia. Il suo peccato di invidia la portò a gioire più del male degli altri che del suo bene.
Il Dantista Vittorio Sermonti scriveva che nel Medioevo «‘ti invidio’ voleva dire ‘non ti vedo’, cioè ‘non riesco a sopportare di vedere il tuo bene’.
Gli Invidiosi, che non hanno tollerato di vedere la felicità del prossimo, riescono però a piangere. E proprio questo pianto, faticoso e buio, promette a questi ciechi il recupero del bene della vista, la restituzione del sole.